Diac. Stefano Croci, Direttore Migrantes Diocesi di Carpi
Siamo alla porta del Perugino in attesa di don Mattia Ferrari, con Ebrima Kuyateh e Giulia Bassoli, autori del libro “Io e i miei piedi nudi “, Ibrahim Lo (autore di due libri: “Pane e acqua. Dal Senegal all’Italia passando per la Libia” e “La mia voce. Dalle rive dell’Africa alle strade dell’Europa”) e Mbengue Nyimbilo Crepin, per tutti Pato, dal Camerun. Accompagnano Luca Casarini, fondatore e capomissione di Mediterranea Saving Humans e invitato speciale del Sinodo dei vescovi. Con loro anche sorella Adriana Dominici, la consacrata di Spin Time Labs a Roma e altri due attivisti di Mediterranea.
Un grande dono del Signore incontrare Papa Francesco nel suo salotto di Santa Marta, appeso nel centro, il quadro di Santa Maria che scioglie i nodi che ci accoglie. Un grande dono anche per il Papa ascoltare queste tre testimonianze. Aspettiamo l’arrivo del Papa che puntuale alle ore 16.00 con il suo deambulatore ci raggiunge. La notizia dell’udienza privata arrivata qualche giorno prima, sabato sera una telefonata: “Ebrima, martedì il Papa ti aspetta a casa sua”.
Due anni prima in occasione del ventesimo anniversario di ordinazione diaconale, 5 ottobre 2022, mia moglie organizza un incontro con il santo Padre in cui abbiamo l’occasione di consegnargli il libro della storia di Ebrima. Storia che parte dal Gambia, sua terra d’origine conosciuto in uno Sprar a Carpi con altri ragazzi. Da questa amicizia, soprattutto con Giulia, viene l’idea di raccontare e scrivere il viaggio compiuto per arrivare a Carpi. Ebrima, partito dal Gambia nel 2012 per aiutare la sua famiglia, anche a causa del regime dittatoriale che per tanti anni purtroppo ha reso difficile e pericoloso rimanere in Gambia, arriva in Italia nel 2014.
Il viaggio di Ebrima è lo stesso che hanno fatto e fanno ancora oggi tanti altri giovani (identico al film di Matteo Garrone “Io capitano”), che partono in cerca di un futuro migliore. Noi, spesso, vediamo solo l’ultima parte di questo viaggio, quindi il tremendo attraversamento del Mediterraneo, di cui tutti sappiamo, ma in realtà̀ il viaggio di Ebrima è stato non tanto un viaggio “dall’Africa”, ma prima di tutto un viaggio “in Africa”: passando da Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger e il suo deserto, fino in Libia, paese in cui la situazione già̀ allora era complessa e delicata e come sappiamo è ancora oggi teatro di scontri, conflitti, violenze e torture. La prefazione dell’arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, Erio Castellucci e alla mia postfazione. Lunedì prima dell’udienza arriva la ristampa del libro grazie alla Fondazione Migrantes e non ci sembra vero di poter donare al Papa la prima copia della ristampa.
Mentre aspettiamo l’arrivo del Papa, abbiamo modo di conoscerci, di scambiare esperienze. Siamo tutti emozionati per il gran privilegio di essere lì, e soprattutto di essere insieme. Il Santo Padre ascolta le storie di Ibrahim Lo, ascolta e tocca dal vivo le ferite che gli vengono mostrate e qui la commozione del Papa che accoglie anche quelle nascoste, quelle dell’anima, quelle più pericolose, come ci dice, perché se non si rimarginano portano rancore. Ha scritto questi libri perché non riusciva a dormire per quelli che non ce l’hanno fatta e il Papa con un filo di voce ripete “Quelli che non ce l’hanno fatta” come a ricordare tutti i morti. Gli chiede “Cosa fai adesso?” risponde che fa l’assistente al parlamentare europeo Mimmo Lucano.
Ebrima nel raccontare la sua storia, chiama più volte “papà” Papa Francesco e Giulia sorella, chi ti aiuta è famiglia, anche per gli altri il Papa è per loro “il padre”, perché è così che lo avvertono, tutti indistintamente nella loro condizione di persone senza terra, siano cattolici che musulmani, “un pastore di tutti”. Più volte Papa Francesco, incita e ci dice “Bisogna sempre andare e guardare avanti”.
Come sta facendo Pato, l’altra testimonianza che durante il primo incontro era venuto dal Papa piangendo, mentre ora, ci dice, è felice, non vuole più piangere. Le sue parole: “Avete visto solo lacrime ora son felice il mio presente è con Dio grazie alla vostra compagnia e alla vostra preghiera.” La triste storia di Pato un anno fa, che si salva a stento nel deserto mentre la moglie e la figlia, Fati e Marie, in cerca di un nuovo inizio, hanno trovato la fine, tremenda, sul confine tra Tunisia e Libia. Come molti altri, troppi, rimbalzata sul web, l’immagine di Fati e Marie, stese esanimi sulla sabbia del deserto ha suscitato ondate di commozione, armato l’indignazione di governanti e persone comuni.
Il Papa con voce sommessa e dolorante dice che ha quell’immagine della moglie e della figlia di Pato sulla scrivania, “Andare avanti ci sono le ferite del corpo e dell’anima vanno guarite se no creano amarezza, il Mediterraneo è un cimitero, quanta sofferenza, Pato la vita ci spinge ad andare avanti non dovete ballare la tarantella ma avanti”.
In conclusione, Papa Francesco: “Grazie a voi che mi accompagnate questi ragazzi.” Prima delle foto e dei saluti finali, c’è tempo per un Padre Nostro, recitato con semplicità, cattolici e musulmani vicini, in una fraternità che non ha paura delle differenze, fratelli tutti. Quanto vissuto, compresa l’accoglienza ricevuta da questi giovani, commenta don Mattia nella preghiera finale, dimostra quanto vera sia “l'esperienza che si fa in mare e in terra, cioè che quando noi soccorriamo o accogliamo i poveri, i migranti, sono loro che ci salvano”. E che “nell’amore, nella fraternità che si vive con i poveri, con i migranti, si sperimenta effettivamente la salvezza”. Un regalo, quello di martedì 2 luglio. Ma anche il monito a continuare a impegnarsi e a lavorare per costruire un’accoglienza reale, fatta di storie e di persone di volti e non numeri come ci ricorda nella prefazione del libro don Erio. Usciamo da Santa Marta contenti dell’incontro con un grande Papa e spronati ad andare avanti per il bene comune che è anche il bene di ogni singola persona che abbiamo il dono d’incontrare in questo viaggio sulla terra. Consapevoli che in loro vediamo il Signore che ci salva.