Da La Civiltà Cattolica, Quaderno 4177, pp. 101-102.
Questo libro è un saggio scientifico interdisciplinare fra antropologia e storia: contattando financo la sociologia, la politica e il diritto. Riguarda – di fatto – un ampio periodo europeo, che va dall’Antico Regime ai giorni nostri: con un focus sull’epoca fascista in Italia. La questione principale studiata è il trattamento in Italia – sin dalla sua nascita, nel 1861 – dei cosiddetti «zingari», ossia dei romaní, al cospetto di quello del resto d’Europa. Il libro risponde a un vuoto storiografico; la sua peculiarità è la ricerca di archivio: tra l’altro, solo nel 2017 è stata raccolta e resa disponibile online la normativa antizingara del sistema repressivo fascista. Lo studio è figlio di una nuova sensibilità storiografica in dialogo con l’etnografia, per realizzare un’antropologia storica dei gruppi rom e sinti.
Le logiche discorsive sugli «zingari» prodotte dalle istituzioni politiche e dal mondo accademico tra l’Italia liberale e quella fascista hanno alimentato l’immaginario stereotipato sugli zingari fino ai giorni nostri, all’interno del problema europeo della loro categorizzazione, sin dalla trasformazione – iniziata alla fine dell’Antico Regime – della figura del povero-pellegrino-vagabondo in quella del vagabondo-ozioso-criminale. Centro tematico del discorso è la sfida della dispersione territoriale e della presunta erranza degli zingari alla triade politico-giuridica «territorio, popolo e nazione».
Il progetto giuridico liberale e borghese, intrecciato con le discipline di ispirazione positivista – fra le due guerre mondiali, nell’accademia, si è cercato di identificare gli zingari con sistemi antropometrici e con ricerche genealogiche (Lombroso è il celebre esempio di criminologia positivista) –, ha prodotto la svolta dalla concezione marginale dello zingaro a quella criminale: la persona senza fissa dimora è l’antitesi dello Stato-nazione, per cui gli zingari non sono riconosciuti cittadini e portatori di diritti. Infine, il nazionalsocialismo li ha definiti in termini razziali, in virtù di indagini biologiche-genealogiche-genetiche, per individuare caratteristiche psico-razziali immodificabili. Da qui il loro invio ad Auschwitz. Quest’ultimo è passato del tutto sotto silenzio, a causa del feroce antisemitismo europeo.
Il Regno d’Italia, alla fine della Prima guerra mondiale, acquisendo i territori asburgici rinominati «Venezia Giulia e Tridentina», di solito non ha riconosciuto la cittadinanza italiana ai rom e a sinti che vivevano lì. Negli anni Venti e Trenta, li ha considerati vagabondi stranieri, senza riconoscimento di nazionalità. Tra il 1937 e il 1938, ha loro applicato il confino di polizia, inviandoli nel Centro-Sud della Penisola. Con la nuova entrata in guerra, gli zingari di nazionalità italiana sono stati considerati pericolosi e sospettati di spionaggio e di attività antinazionale: arrestati e inviati in campi e località d’internamento. Tre dei circa 50 campi di concentramento sono stati riservati ai rom e ai sinti. Nel periodo che va dal 1938 al 1943, il numero degli zingari perseguitati dal regime fascista ammontava – con una stima per difetto – a 1.130.
La ricerca di Trevisan è dettagliata, con attenzione scrupolosa ed empatica, senza enfasi. Giudica imparzialmente la miseria della storia europea e, in particolare, di quella italiana nei confronti dei romaní, oggi qualificati dalla Repubblica italiana «nomadi». Dagli anni Ottanta, sono stati istituiti i cosiddetti «campi nomadi»: attraverso un gioco di parole, le istituzioni italiane sanciscono l’impossibilità per i romaní di vivere in carovana se non fermandosi in un luogo predisposto dalle autorità, ai margini delle città. Per cui essi difficilmente escono dai «campi nomadi», con buona pace dell’articolo 16 della Costituzione italiana. La loro indeterminatezza giuridica convoglia qualsiasi tipo di stereotipo e di immaginario atto a criminalizzare il mondo romaní. Questo atteggiamento attuale – dice Trevisan – ha radici storiche, consolidate nel fascismo: «Si può dire che il nuovo assetto democratico dello Stato italiano non è riuscito ad incidere su un modus operandi nato durante il regime fascista e basato su un trattamento differenziale degli “zingari”, che continua a renderli dei “non del tutto cittadini”, indipendentemente dal loro status giuridico».
Paola Trevisan
La persecuzione dei rom e dei sinti nell’Italia fascista
Viella, 2024