(17 febbraio 2015) - Sguardo basso, braccia conserte, voglia di raccontarsi nonostante la sofferenza, nonostante le difficoltà. Tornare indietro nel tempo e provare a ricordare quella notte buia in cui mio fratello mi ha svegliato e mi ha detto: andiamo via, dobbiamo partire. Partire dal Gambia per risalire Mali, Burkina Faso, Nigeria, Niger, fino alla Libia: il paese dellorrore, del terrore, della paura, delle torture subite in carcere ma, ironia della sorte, anche il Paese della speranza. Perché è dai porti libici che migliaia di ragazzi come Kabou, oggi protetto tra le pareti del Centro Ahmed di Messina, Centro per laccoglienza dei minori stranieri non accompagnati, continuano a salpare con la speranza di raggiungere la Sicilia, sulla carta porta dEuropa, nei fatti porta di se stessa. Quel viaggio, iniziato nel marzo del 2013 e terminato nel dicembre del 2014, Kabou avrebbe voluto concluderlo con il fratello, rimasto invece ucciso durante un conflitto a fuoco consumatosi in terra libica. Mi ero allontanato da lui qualche istante prima racconta a fatica il ragazzo . Ad un tratto ho sentito degli spari, sono tornato indietro, ho provato a scuoterlo ma
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È racchiuso in quel ma il peso amaro di una vita che in soli diciassette anni è stata capace di mostrarsi in tutta la sua cattiveria. Mentre racconta e ricorda i giorni trascorsi in Senegal, laccident car che ha crudelmente strappato alla vita la mamma e il papà, ladolescenza trascorsa in una capanna con lo zio, Kabou riesce a non far trasparire nessuna emozione. Ad un tratto, però, ecco che i suoi occhi, tanto grandi, quanto profondi, iniziano a riempirsi di lacrime impossibili da fermare: lacrime versate senza sosta per la morte del fratello, il suo salvatore; lacrime versate per un dolore destinato a segnare per sempre lanima di un ragazzo allapparenza indistruttibile, ma dal cuore fragile come il cristallo. Talmente tanto fragile che ogni parola, ogni gesto daffetto, ogni carezza rivoltagli per cercare di trasmettergli sicurezza, cè il timore che quel cuore possano infrangerlo in milioni di pezzi.
È di fronte a storie come quelle di Kabou, di cui il Centro di accoglienza Ahmed rappresenta lo scrigno, che si percepisce chiaramente la distanza che, se non adeguatamente colmata, rischia di diventare un solco sempre più profondo tra un mondo fatto di minori in realtà già adulti ed un mondo di adulti che di fronte al dolore di certe storie rischiano di diventare essi stessi piccoli.
Kabou si stropiccia gli occhi e scuote la testa quando prova a raccontare ancora delle peripezie affrontate. Sulla sua coscienza sente il peso di una morte, quella del fratello, che ogni notte confessa apparirgli in sogno.
Anche lui, come i compagni di viaggio ed ora di casa, è in attesa di quei documents considerati il passaporto della speranza, il raggiungimento di un obiettivo dietro cui si nascondono i volti e i sacrifici di genitori o fratelli scomparsi. Prima di quelle carte, tuttavia, i tanti Kabou che la Sicilia lhanno raggiunta da vivi, provano, con laiuto di chi ogni giorno ne ascolta i pensieri più intimi, a ricostruire se stessi, iniziando a scrivere le pagine di un nuovo capitolo di vita. Anche per ricordare ed onorare la memoria di chi questo nuovo inizio non potrà mai scriverlo.
(Elena De Pasquale - Migrantes Messina)