“La riforma della cittadinanza con lo Ius scholae va incontro alla realtà di un Paese che sta cambiando. Spero che le ragioni e la realtà prevalgano rispetto ai dibattiti ideologici per il bene non solo di chi aspetta questa legge ma anche dell’Italia che è uno dei Paesi più vecchi”. Lo ha detto oggi all’Ansa mons. Gian Carlo Perego, Presidente della Commissione episcopale per le migrazioni della Cei e Presidente della Fondazione Migrantes.
Per mons. Perego Le contrapposizioni politiche sono legate al fatto che la legge sullo Ius scholae “viene letta con parametri ideologici e non guardando invece alla realtà. Quella di un milione e quattrocentomila ragazzi, dei quali 900mila alunni delle nostre scuole e gli altri che hanno più di 18 anni, che aspettano di essere cittadini italiani”, sottolinea aggiungendo che “la realtà, e di questo dovrebbe tenere conto tutta la politica, è quella di un’Italia che è cambiata, con cinque milioni e mezzo di migranti che sono un mondo di famiglie, di studenti, di lavoratori. Occorre leggere la situazione e utilizzare lo strumento della cittadinanza per rendere partecipi di questa trasformazione le persone che attendono ma anche gli italiani che sempre si sono dette favorevoli, nei sondaggi sono oltre il 70 per cento, a questo provvedimento”.
Per mons. Perego non si tratta di “mettere in contrapposizione lo Ius scholae allo Ius sanguinis che tutela soprattutto i nostri emigranti all’estero. Ma di tutelare e riconoscere una presenza e una risorsa importante sul piano scolastico e lavorativo, per costruire il futuro del Paese. Se le persone non partecipano alla vita delle città, se non vengono riconosciuti cittadini, rischiano di non sentirsi parte del Paese”. Il presidente della Migrantes spiega anche che questo “potrebbe favorire una maggiore mobilità in Europa. Il poter diventare cittadini italiani in un contesto europeo aiuterebbe anche una circolarità del mondo migratorio in Europa”.
“La Chiesa italiana continuerà a sostenere questo tipo di linea che legge una realtà che già c’è, la politica deve prenderne atto” e “non ha senso affermare che ora ci sono altre emergenze perché questo tema non esiste da oggi ma da anni, almeno quindici”. “Ora spetta alla politica fare uno scatto e uscire dalla ideologia”, conclude monsignor Perego.
Le norme all'estero
Lo Ius scholae si distingue e può affiancarsi ad altri criteri per l’ acquisizione della cittadinanza, come lo Ius sanguinis e lo Ius soli. Il primo è attualmente in vigore in Italia: è infatti cittadino italiano per ‘diritto di sangue’ chi nasce da almeno un genitore in possesso della cittadinanza (ad esempio da madre italiana e padre tedesco, il figlio comunque può divenire, per via materna, cittadino italiano).
Invece, in base al principio dello Ius Soli, il diritto di cittadinanza si ha al momento della nascita sul territorio di un determinato Stato, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza dei genitori (ad esempio, una coppia italiana ha un figlio a Parigi, il bimbo può divenire cittadino francese). Diversi paesi europei e non (fra i quali Regno Unito, Germania e Francia) adottano varianti dello Ius soli (prevedendo cioè, oltre alla nascita sul territorio dello Stato, altre condizioni variabili da Paese a Paese).
In Nord e Sud America, ad aver adottato lo Ius soli sono il Canada, gli Usa, il Brasile e molte altre nazioni, per cui capita spesso che i figli di emigrati italiani in quei Paesi abbiano doppia nazionalità (e doppio passaporto), assommando a quella ereditata dal genitore quella conseguita nascendo nello Stato estero.