(26 settembre 2017) - Con la prolusione del Card. Gualtiero Bassetti
lunedì 25 settembre, si è aperta la sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente e il
28 settembre, alle 12, nella Sala Marconi della Radio Vaticana, il Segretario Generale, Mons. Nunzio Galantino, illustrerà in conferenza stampa il Comunicato finale.
Tra i tanti temi trattati durante questi due giorni hanno parlato anche delle migrazioni prendendo
i 4 verbi che Papa Francesco ha donato alla Chiesa per affrontare la grande sfida delle migrazioni internazionali, "Accogliere, proteggere, promuovere e integrare". Una sfida complessa, in parte inesplorata ma dal significato antico. Bisogna subito sgombrare il campo da un equivoco che potrebbe sorgere da un dibattito pubblico particolarmente aspro su questi temi: la Chiesa cattolica si è sempre occupata dellospitalità del forestiero e del migrante. E lo ha fatto non certo per unidea politica o sociale, ma per amore di ogni persona. È il cuore della nostra fede: di un Dio che si è fatto uomo. Lospitalità è, da tradizione, unopera di misericordia e, come ci insegna Abramo, una delle più alte forme di carità e di testimonianza della fede. Attraverso lospite noi scegliamo di accogliere o respingere Cristo nella nostra vita (Mt 25, 35.43). Il richiamo alla difesa della dignità inviolabile del migrante, inoltre, è un insegnamento presente in molti documenti della Santa Sede e che si è fatto carne nellopera di alcuni grandi apostoli del passato, tra i quali molti italiani: Francesca Cabrini, Geremia Bonomelli, Giovanni Battista Scalabrini.
Oggi questa sfida antica si ripropone con tratti nuovi. E lo sguardo profetico di Papa Francesco ha il merito storico di aver tolto i migranti da quella cappa di omertà in cui erano stati confinati dalla «globalizzazione dellindifferenza» e di averli messi al centro della nostra attività pastorale. Promuovere una pastorale per i migranti significa, prima di tutto, difendere la
cultura della vita in almeno tre modi: denunciando la «tratta» degli esseri umani e ogni tipo di traffico sulla pelle dei migranti; salvando le vite umane nel deserto, nei campi e nel mare; deplorando i luoghi indecenti dove troppo spesso vengono ammassate queste persone. I corridoi umanitari nei quali la Chiesa italiana è impegnata in prima persona sono, quindi, necessari per dare vita ad una carità concreta che rimane nella legalità.
Il primato dellapertura del cuore al migrante ci fa guardare oltre le frontiere italiane. Ci invita a intensificare la cooperazione e laiuto allo sviluppo al Sud del mondo, per far risorgere tra i giovani la speranza di un futuro degno nella propria patria. È una linea su cui si muove da tempo la CEI, sostenendo numerosi progetti di sviluppo e, recentemente, con la campagna
Liberi di partire, liberi di restare. Si tratta di u
n progetto innovativo perché affronta il tema del diritto delle persone a restare nel proprio Paese senza essere costrette a scappare a causa della guerra o della fame. Accogliere è un primo gesto, ma cè una responsabilità ulteriore, prolungata nel tempo, con cui misurarsi con prudenza, intelligenza e realismo. Non a caso il Santo Padre, di ritorno dalla Colombia, ha ricordato che per affrontare la questione migratoria occorre anche «prudenza, integrazione e vicinanza umanitaria». Tale processo va affrontato con grande carità e con altrettanta grande
responsabilità salvaguardando i diritti di chi arriva e i diritti di chi accoglie e porge la mano.
Il processo di integrazione richiede, innanzitutto, di fronteggiare, da un punto di vista pastorale e culturale, la diffusione di una «cultura della paura» e il riemergere drammatico della xenofobia. Come pastori non possiamo non essere vicini alle paure delle famiglie e del popolo. Tuttavia, enfatizzare e alimentare queste paure, non solo non è in alcun modo un comportamento cristiano, ma potrebbe essere la causa di una fratricida guerra tra i poveri nelle nostre periferie. Uneventualità che va scongiurata in ogni modo.
Infine, alla luce del Vangelo e dellesperienza di umanità della Chiesa, penso che la costruzione di questo processo di integrazione possa passare anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza, che favorisca la promozione della persona umana e la partecipazione alla vita pubblica di quegli uomini e donne che sono nati in Italia, che parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica, con i valori che porta con sé.
Prolusione
Comunicato finale