“Il fenomeno dei ghetti in Italia in larga parte è una conseguenza voluta da come è stato e viene gestito il fenomeno dell’emergenza migranti”. Lo si legge in una nota diffusa dalla diocesi di Andria. “Negli ultimi anni sia la politica che i grandi esperti di materie sociali, hanno focalizzato il dibattito solo se fosse giusto chiudere i porti oppure tenerli aperti. Senza mai affrontare il vero problema, ossia strutturare un servizio, che intervenisse a favore dei migranti che scappavano da guerra e fame su barconi di fortuna e soprattutto garantisse un vero processo di integrazione e sviluppo economico nel tessuto sociale e locale. Infatti tutto questo è stato affidato a enti privati, che si sono arrangianti e organizzati come meglio hanno potuto”. In taluni casi “sono scoppiati casi giudiziari e mediatici dove l’obiettivo era lucrare e non aiutare i migranti, in altri si sono sviluppate realtà virtuose che con lungimiranza e abnegazione hanno costruito il futuro della nostra società”.
“Alcuni mesi fa – si legge ancora – diversi migranti abbandonavano alcuni ghetti dei nostri territori e si trasferivano in una casa della Comunità Migrantesliberi in collaborazione con l’Ufficio Migrantes della diocesi di Andria. Nella rete sociale di supporto ha partecipato anche l’associazione NoCap di Yvan Sagnet, che ha interloquito con l’azienda Cantatore per la stipula di contratti lavorativi legali e trasparenti”. Il progetto prevedeva che dopo tre mesi, i migranti proseguivano il loro percorso in autonomia, presso case in affitto badando liberamente al ménage quotidiano delle spese. Obiettivi tutti raggiunti con la piena soddisfazione della rete e soprattutto dei migranti”.
Don Geremia Acri, direttore dell’ufficio Migrantes e di Casa accoglienza “S. Maria Goretti” della diocesi di Andria e responsabile della Comunità Migrantesliberi racconta: “In questi vent’anni di servizio/attività, con i collaboratori e volontari, oltre a promuovere i valori evangelici e di solidarietà nei confronti degli ultimi ci siamo impegnati a promuovere concetti come autonomia e indipendenza. Dopo l’ascolto e la presa in carico della persona, che sia migrante o italiana non c’è alcuna differenza, si cerca di individuare il bisogno reale e nel contempo stabilire delle linee educative. Questa metodologia scavalca la tradizionale logica assistenzialista e nel tempo diventa vincente. A piccoli passi e con grandi sacrifici si ottengono risultati molto importanti raggiunti mettendo al centro la cura della persona”.
“L’indigenza, l’emarginazione possono essere eliminate solo ridando dignità, autonomia, libertà e indipendenza. Le lunghe file di poveri e dei nuovi poveri che chiedono cibo, accesso ai servizi per l’igiene personale e per le cure mediche, per avere lavoro o solo il conforto dell’ascolto e di una parola di speranza sono crudi testimoni di una povertà che va combattuta. Si combattere e sconfiggere tutto, ma la vergogna, l’imbarazzo, gli occhi spenti e bassi no no sono situazioni e atteggiamenti che non si possono eliminare con un pacco viveri. La dignità è sacra e come tale va trattata e rispettata”.