“Dinnanzi a queste bare mi permetto di dire che l’umanità è sconfitta”: queste le parole commosse, che celano le lacrime, a stento trattenute, di mons. Francesco Savino, Vicepresidente della Cei per il Mezzogiorno e vescovo delegato Migrantes della Conferenza Episcopale Calabra che si è recato al Palamilone di Crotone dove sono state ricomposte le salme che il mare ha restituito dopo la tragedia che su è consumata ieri a Cutro, nel crotonese.
“Mi chiedo perché tutto questo? Non potevano, forse, essere aiutati ed accolti per un processo di integrazione nei nostri territori?”. Questi gli interrogativi del presule che continua: “diciamolo chiaramente: Crotone, la Calabria tutta sta dimostrando di essere una regione solidale, accogliente, ospitale. Ma ci sono, evidentemente pregiudizi che vengono da altri luoghi. Ci sono pregiudizi ideologici che non ci consentono, molto spesso, di accompagnare questi fratelli in un processo di integrazione fattibile. Il fenomeno migratorio di italiani che vanno al Nord è quantitativamente molto più numeroso del fenomeno immigratorio. Allora penso che bisogna fare verità nei numeri. Qui sono a rappresentare tutti i confratelli vescovi, tutta la Chiesa. Vengo qui a nome della Conferenza Episcopale Italiana, del Consiglio di Presidenza, del cardinale Matteo Zuppi, del segretario della Cei monsignor Giuseppe Baturi, di mons. Erio Castellucci, vicepresidente Cei per il Nord. Sono qui a nome di tutti i Vescovi calabresi con cui abbiamo definito questa tragedia ‘il naufragio dell’umanità’. Lasciatemi ringraziare, tutti i soccorritori che sempre con generosità non vengono mai meno a questa pratica di accoglienza”.
«Sono qui – ha concluso il presule – a dare la mia prossimità a nome della Chiesa italiana ai sopravvissuti che in questo momento vanno accompagnati seriamente e responsabilmente. Penso alle mamme che non hanno più i loro bambini accanto che stanno vivendo questo tremendo dolore. Facendo mia una domanda che proviene dalla Bibbia mi chiedo: ‘Caino dov’è tuo fratello?’. Diventiamo tutti Caino nella misura in cui non ci sentiamo custodi e responsabili di questi nostri fratelli immigrati”.