FONDAZIONE MIGRANTES
ORGANISMO PASTORALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Palermo accoglie i superstiti e dieci vittime dell'ultimo naufragio

(16 giugno 2014) - Alle 7 di domenica mattina la città di Palermo sonnecchia, reduce dalle fatiche calcistiche notturne, con tanto di trombe e di sventolio di bandiere davanti ai teleschermi. Frattanto, sulla banchina del Porto è tutto un andirivieni di volontari, di medici e militari. Si aspetta da un momento all’altro l’attracco della nave Etna, con il suo carico di speranza e di morte.
16 Giugno 2014
(16 giugno 2014) - Alle 7 di domenica mattina la città di Palermo sonnecchia, reduce dalle fatiche calcistiche notturne, con tanto di trombe e di sventolio di bandiere davanti ai teleschermi. Frattanto, sulla banchina del Porto è tutto un andirivieni di volontari, di medici e militari. Si aspetta da un momento all’altro l’attracco della nave Etna, con il suo carico di speranza e di morte. L’arrivo dell’unità della Marina Militare è, in realtà, slittato di un giorno rispetto a quanto previsto in un primo momento. Giusto in tempo per raccogliere i superstiti dell’ennesimo naufragio, consumatosi a 40 miglia dalle coste libiche. Passa un’ora e la nave molla gli ormeggi e dà il via alle operazioni si sbarco.
È la quinta volta dallo scorso mese di settembre che il molo accoglie i migranti, la terza volta nell’arco di una settimana. Stavolta sono 767 le persone soccorse e portate in salvo dai militari impegnati nell’operazione Mare Nostrum. Si tratta di 653 uomini, 68 minori e 46 donne. Provengono da Costa d’Avorio, Ghana, Guinea e Mali. Sono in mare da giorni e il peso della fatica traspare con forza dai loro volti e dal loro incedere. Prima viene fatto sbarcare chi ha bisogno di cure mediche più immediate. Poi scendono le famiglie con bambini al seguito. Molti di questi piccoli non hanno più di 3 anni. Scendono vestiti soltanto di una maglietta e del pannolino. A terra i volontari della protezione civile provvedono a dare loro abiti puliti messi a disposizione dalla Curia. Molti uomini scendono scalzi, i piedi ustionati dal contatto con la benzina fuoriuscita dalle loro imbarcazioni.
Una donna si accascia sulla lunga scaletta che separa il mare dall’approdo e viene, a braccia, aiutata a toccare terra. È notevole il dispiegamento di forze messo in campo per questa operazione: Prefettura, Comune, Protezione civile, Croce Rossa, Asp, oltre alla presenza massiccia delle forze dell’ordine di tutti i corpi, di terra e di mare.  Su tutti spicca la presenza della Chiesa palermitana, attraverso il braccio operativo della Caritas. Gli operatori diocesani distribuiscono i beni di prima necessità, oltre a fornire vitto e alloggio a ben 550 dei nuovi arrivati. Di questi, 250 sono accolti nei locali della parrocchia di San Giovanni Maria Vienney, a Falsomiele, altri 100 vengono sistemati nella chiesa di San Carlo e nel centro attiguo, altri 100 nell’istituto Ruffini, a San Lorenzo e, infine, 25 a Brancaccio, nella parrocchia che fu di Padre Pino Puglisi. «La diocesi ha messo a disposizione strutture, persone e risorse, senza risparmiarsi – spiega il direttore della Caritas, Don Sergio Mattaliano. Il nostro arcivescovo mi ha detto che prima del suo ruolo di amministratore viene il suo essere un pastore. Gesù del resto, dice “Ero forestiero e mi avete ospitato”». Per la prima volta si vedono scout e volontari provenienti da alcune parrocchie cittadine (tra questi le cellule parrocchiali di evangelizzazione), oltre alle risorse messe a disposizione dalla parrocchia di San Michele Arcangelo e da quella di San Luigi Gonzaga. «Tutta la Chiesa sta rispondendo in maniera forte, ma abbiamo bisogno di altri volontari e di abiti» ricorda il responsabile della Caritas.
C’è tanto da fare, per i nuovi arrivati come per chi è giunto in precedenza e ora sta cercando di rimettere in piedi la propria vita. Don Sergio menziona con emozione l’esperienza che stanno vivendo i migranti accolti nel centro che sorge a Giacalone: «Abbiamo acquistato la spesa e i migranti cucinano da soli, fanno le pulizie e tutti i lavori che servono per la struttura. Un’autogestione, insomma – sottolinea Don Sergio -. Superata la fase dell’emergenza, occorre mirare all’accoglienza ed all’integrazione. Sto per questo organizzando dei corsi di italiano e lezioni di cucito e ginnastica per le donne. Un modo anche per superare i traumi che si portano addosso. Nel cuore e nella mente di queste persone ci sono morte, dolore e sofferenza. Penso alle ragazze che sono state vittime di violenze e abusi, a quanti sono stati detenuti e maltrattati nelle carceri a cielo aperto della Libia. La polizia del posto li sfruttava e li picchiava prima di farli ripartire. Senza dimenticare quanti scappano dalla guerra siriana, un conflitto per il quale i civili stanno pagando un prezzo altissimo».
Intorno alle 9 arrivano il sindaco Leoluca Orlando ed il prefetto Francesca Cannizzo. Proprio nei giorni scorsi il primo cittadino ha istituito l’Ugem (Unità per la gestione delle competenze comunali relative alle emergenze migranti), struttura pensata per fare da cabina di regia per la gestione degli arrivi dei migranti, con il compito di coordinare gli interventi e di adottare le delibere necessarie per fare funzionare al meglio la macchina dell’accoglienza. Arrivano anche le bare in legno grezzo. Sono dieci, come i cadaveri dell’ultimo naufragio recuperati finora. Le casse vengono sistemate in fila in un angolo del molo. La mente non può fare a meno di correre alle tante, troppe, immagini di questo genere che abbiamo visto negli anni. Poco dopo gli addetti portuali sistemano tre container attorno alle bare, in modo da impedirne la visuale ai fotografi. Mentre continuano le operazioni di sbarco, dalla nave viene calata una scialuppa. Contiene le salme, avvolte in sacche bianche, sudari in attesa di una nuova Pasqua di resurrezione.  (Luca Insalaco - Palermo)