FONDAZIONE MIGRANTES
ORGANISMO PASTORALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Tratta e grave sfruttamento sui luoghi di lavoro

(22 novembre 2013) - Monsignor Gian Carlo Perego, Direttore generale della Fondazione Migrantes, sostiene la necessità di un permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro, che permetta a chi sbarca sulle nostre coste di non diventare automaticamente clandestino
22 Novembre 2013
(22 novembre 2013) - Mercoledì 20 novembre, a Torino, il Gruppo Abele e la Fondazione Migrantes hanno promosso un incontro pubblico verso il "Protocollo d'Intesa sul rafforzamento della collaborazione interistituzionale per l'analisi, la prevenzione e il contrasto al fenomeno della tratta degli esseri umani ai fini dello sfruttamento e intermediazione illecita della manodopera nei luoghi di lavoro in provincia di Torino".
Giovani, tra i 20 e i 40 anni, in prevalenza uomini senza famiglia al seguito, provenienti da Est Europa, Africa, Cina e America latina. È l'identikit dei migranti vittime di tratta e sfruttamento a scopo lavorativo in Italia secondo il monitoraggio presentato oggi dall'associazione Gruppo Abele: «La vita delle persone non si vende e non si compra - ha affermato don Luigi Ciotti, presidente dell'associazione in apertura al seminario su sfruttamento lavorativo e lavoro nero organizzato a Torino dallo sportello giuridico Inti dell'associazione Gruppo Abele in collaborazione con Asgi e Caritas Italiana - e non può chiamarsi civile una società in cui non si producono le condizioni perché la vita sia rispettata. Lo sfruttamento crea ingiustizia e insicurezza sociale e non può esservi vero benessere per nessuno finché questo poggia anche sulla riduzione dell'altro a strumento di vantaggio per fini economici».
Nel gennaio 2010 la rivolta di Rosarno ha portato alla ribalta della cronaca le condizioni di degrado di molti braccianti agricoli immigrati del sud Italia. Arrivati in Italia per intermediazione di caporali, a cui devono una parte del loro futuro guadagno oltre ad una cifra iniziale con cui "comprano" un contratto di lavoro che non verrà mai effettivamente stipulato. Si ritrovano a lavorare per 10-15 ore al giorno percependo un compenso in nero di 20-30 euro per la raccolta di frutta e verdura. Nessuna misura di sicurezza, nessuna copertura assicurativa, vitto scarso e alloggi sporchi e fatiscenti forniti dallo stesso datore di lavoro, che in questo modo punta a guadagnarsi la "riconoscenza" oltre all'asservimento del lavoratore. Oltre che nel settore agricolo, più presente al Sud, lo sfruttamento lavorativo colpisce anche nei settori dell'edilizia e della cura delle persone: «Molte badanti o lavoratrici domestiche - ha spiegato Alessandra D'Angelo dello Sportello Giuridico Inti - percepiscono compensi in linea con i parametri salariali previsti dai contratti italiani, ma vengono pagate in nero, restando così prive del permesso di soggiorno e spesso vivono nella casa presso cui prestano servizio. Anche per loro, come per molti braccianti, perdere il lavoro significa anche perdere la casa in cui vivere».
Invisibili, privi di legami sociali e tutele sanitarie, i migranti sfruttati finiscono spesso per essere intercettati dalle forze dell'ordine ed espulsi come clandestini, perché non vi sono strumenti e competenze sufficienti per riconoscere e assistere le vittime della tratta sul piano lavorativo:  «In Italia esiste un sistema normativo riconosciuto a livello internazionale a sostegno delle vittime di tratta che persegue gli sfruttatori - spiega Oliviero Forti per Caritas Immigrazione -.
Ma le risposte in quest'ambito si sono indirizzate quasi esclusivamente verso la forma più evidente e raggiungibile dello sfruttamento, quello per fini sessuali. Per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, a fronte di un dilagare del fenomeno nel nostro Paese non sono stati rivisti e attualizzati gli strumenti giuridici che avrebbero dovuto aiutare le vittime». L'articolo 18 del Testo Unico per l'Immigrazione prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari nel caso si ravvisino condizioni di grave sfruttamento e il pericolo di subire violenza per la vittima o i suoi familiari.
Una norma che consentirebbe ai lavoratori stranieri sfruttati di poter ricostruire un progetto migratorio, eppure, come ha sottolineato l'avvocato dell'Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione, Lorenzo Trucco: «Sono ancora pochi i casi di applicazione dell'articolo 18 per persone vittime di sfruttamento lavorativo, perché a differenza dei casi di sfruttamento a fini sessuale, è più difficile dimostrare tramite indagine la presenza del reato di sfruttamento lavorativo». In pochi denunciano gli sfruttatori, per paura e perché non ravvisano l'utilità che potrebbe scaturire dall'avvio di una vertenza nei confronti dei datori di lavoro: «Nel fare vertenza la persona migrante, a cui pure lo Stato garantisce la tutela in caso di sfruttamento lavorativo - ha sottolineato l'avvocato Marco Paggi (Asgi) - teme di poter essere successivamente espulso e per questo rinuncia ai propri diritti e accetta le condizioni di lavoro dettate dallo sfruttatore. La paura è cresciuta con l'emanazione del cosiddetto pacchetto sicurezza, che prevede l'espulsione obbligatoria degli immigrati non in regola con il permesso di soggiorno».
«I diritti dei migranti sono sempre più compromessi - ha aggiunto Ornella Obert dello sportello Inti - da una normativa in materia di immigrazione che li confina nella clandestinità».
Le associazioni e gli enti che operano per la tutela delle persone vittime di tratta e sfruttamento lavorativo guardano con fiducia al recepimento della direttiva europea che introduce sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e che apre delle possibilità di regolarizzazione per i lavoratori presenti in modo irregolare sul territorio (direttiva 2009/52/CE): «Con questo ultimo strumento - spiega Paggi - pensato appositamente per lo sfruttamento lavorativo e il lavoro nero, assieme ad una corretta applicazione delle norme vigenti in Italia, la tutela dei diritti dei lavoratori stranieri potrebbe fare un considerevole passo in avanti».