La pandemia da Sars-Cov-19 ha prodotto una serie di effetti negativi in ampi ambiti della vita individuale e collettiva della popolazione mondiale. Nell’edizione che celebra i 30 anni della pubblicazione del Rapporto Immigrazione redatto da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes si analizza anche l’impatto che il virus e le misure adottate per il suo contenimento e per la ripresa delle attività economico-sociali hanno avuto sulle vite dei cittadini stranieri che vivono in Italia, in riferimento ad importanti indicatori quali, fra gli altri, le tendenze demografiche e i movimenti migratori, la tenuta occupazionale, i percorsi scolastici dei minori e la tutela della salute. Presi in esame anche anche altri aspetti sociali, forse “meno eclatanti”, come sottolineano Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, ma che hanno subito “contraccolpi altrettanto gravi, come la sfera religiosa ed emotiva individuale, lo scivolamento nel cono d’ombra di migliaia di persone che le misure di lockdown hanno reso più invisibili (ad esempio, le vittime di violenza e di sfruttamento), senza che questo silenzio fosse dissolto dall’interesse dei media”.
“In un tempo come quello che stiamo vivendo non possiamo permettere che si affermino dinamiche che ci rendono estranei gli uni agli altri. In un tempo così deve sovrabbondare la speranza”: queste le parole del card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo Perugia-Città della Pieve e presidente della Conferenza episcopale italiana, intervenuto alla presentazione del XXX Rapporto Immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes. “Il Rapporto – ha detto – ci racconta di un calo dei migranti. Presto cominceremo ad accorgerci della mancanza di queste persone. E allora ci pentiremo di non averli accolti come dovevamo accoglierli, di non averli seguiti come avremmo dovuto”. “Parliamo di milioni di cittadini stranieri che vivono in Italia spesso dimenticati – ha proseguito. La loro voce ci dice che viviamo in tempo di incertezza, la gente sta soffrendo di una solitudine immensa”. Il card. Bassetti ha ricordato che “affrontare l’immigrazione da molteplici punti di vista ci dimostra che tutto è in relazione, che siamo tutti collegati gli uni agli altri. La crisi sociale, che non è dipesa solo dalla pandemia, è una ferita grave per la nostra società. Invece stiamo assistendo al venire meno del senso profondo della fraternità, della comunione, del vivere insieme”. “Questo è il tempo di edificare, di vivere la speranza”, ha sottolineato, evidenziando la “grande lezione” della pandemia, ossia aver scoperto che “la fragilità non caratterizza solo gli altri” ma “ognuno di noi”. “Quanti preconcetti, quanti pregiudizi, quanti diti puntati – ha osservato. Serve una cultura più aperta a quanto c’è di buono nell’altro e sempre più convinta dell’incontro. Non esiste un incontro a mezz’aria. O ci si incontra o si mettono le basi dello scontro. Ci sono cose nella vita che sono out out. Ci attendono mesi forse anni difficili in cui ricostruire le nostre comunità. E se diventa più grande il noi un po’ alla volta si sgonfia questo benedetto io che ci paralizza tutti”.
“Il green pass mi interessa ma mi interessa ancora di più la vaccinazione di chi non so dove sia”. Lo ha detto, durante la presentazione del Rapporto Immigrazione di Caritas e Migrantes, il sottosegretario di Stato al Ministero della Salute Pierpaolo Sileri, riferendosi in particolare alle campagne di vaccinazione degli immigrati, di 10 punti percentuali in meno rispetto agli italiani e in ritardo, come riportato nello studio. “Mi interessa prima di tutto la sicurezza della persona – ha sottolineato, riferendosi agli immigrati e alle persone bisognose non vaccinate -. Sarei più contento di avere 500.000 persone vaccinate e censite per sapere dove allocare le risorse e consentire il miglioramento delle condizioni di salute”. “È innegabile che non sono i migranti che portano il virus – ha aggiunto. Semmai si ammalano qui”.
“Il drammatico calo di almeno 150.000 persone straniere significa che l’Italia non ha più capacità attrattive e questo mi preoccupa”: lo ha detto mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes, durante la presentazione del Rapporto Immigrazione di Caritas e Migrantes. “Il Rapporto vuole essere una forte provocazione alla razionalità – ha precisato - per leggere l’immigrazione a partire da questi 5 milioni di persone che vivono in Italia. Speriamo che questo studio aiuti profondamente la nostra società e classe politica a partire dai dati e dalle situazioni, perché il nostro Paese possa andare avanti e non tornare indietro, visto che siamo il Paese più anziano e manca manodopera”.
L’emergenza sanitaria ha per certi versi soppiantato le «emergenze» riconducibili alla mobilità: «emergenza sbarchi», «emergenza Lampedusa», «emergenza umanitaria»; ma ha anche nuovamente risucchiato i migrati entro questa cornice, collegandoli all’aumentato rischio di diffusione del contagio e presentandoli come possibili “untori” – ha detto durante la presentazione Simone M. Varisco, storico e curatore del Rapporto Immigrazione per la Fondazione Migrantes. Nella narrazione mediatica dell’immigrazione straniera in Italia la persona migrante vive in realtà una peculiare condizione di presenza-assenza. Presenza, per il perdurante protagonismo mediatico; assenza per tutti i limiti di approccio e di contenuto che caratterizzano l’attuale e principale corrente in campo comunicativo e per la scarsa considerazione positiva di cui gode il tema presso gli italiani. L’immigrato diventa degno di notizia solo quando accade un fatto specifico, per lo più violento o di sopraffazione; mentre ha avuto ed ha pochissimo spazio se si parla dell’impatto del Covid-19 sulla vita. La sua descrizione si sbilancia più verso le categorie professionali con le quali l’immigrato viene identificato: ovvero, il bracciante agricolo, il badante o il rider. Categorie di cui, tra l’altro, dall’inizio della pandemia si è avuto sempre più bisogno, ma non certo le uniche in cui gli immigrati rappresentano forza lavoro nei settori produttivi interni. Quando, poi, si e parlato di immigrazione e pandemia si è più che altro collegato ciò alla diffusione del coronavirus: sia per gli sbarchi di migranti che non hanno mai smesso di approdare sulle nostre coste, sia come possibile veicolo di “varianti” provenienti dai loro Paesi di origine. Nell’ambito della crisi sanitaria, mentre gli operatori dei media hanno tenuto alta l’attenzione sulle difficoltà e sulle sofferenze degli italiani, dall’altra parte hanno in generale preferito non addentrarsi in quelle dei non autoctoni: come se parlare anche delle problematiche dello straniero legate alla pandemia potesse togliere qualcosa ai cittadini italiani o urtarne la sensibilità. Questa sorta di timore nel documentare l’immigrazione ha reso la narrazione che i media italiani ne fanno ancora meno esaustiva di quanto non lo fosse prima della pandemia e, se possibile, più stereotipata. Come è stato evidenziato dall’Associazione Carta di Roma «in generale la narrazione sulle migrazioni è crollata perché è arrivato un altro nemico».
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Sintesi XXX Rapporto Immigrazione
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Video integrale della presentazione 2021 a Roma (canale YouTube della Cei)