La canonizzazione di un vescovo è sempre motivo di particolare gioia per la Chiesa. E la canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini lo è particolarmente per la Chiesa italiana e per la Fondazione Migrantes che nella Cei e per la Cei segue particolarmente il mondo della mobilità umana. Essere al fianco del migrante. Questo l’impegno che Scalabrini, “Padre dei Migranti”, come ebbe a definirlo Giovanni Paolo II venticinque anni fa in occasione della beatificazione, ha portato avanti nella sua vita scegliendo di mettersi al fianco degli italiani che alla fine dell’Ottocento lasciavano l’Italia per altri lidi. Una vera e propria vocazione confermata dalla Chiesa, che non esitò a riconoscere nelle intuizioni di Scalabrini i segni e le stimmate dell’opera dello Spirito Santo. A lui infatti si deve la fondazione della Congregazione dei Missionari di San Carlo e quella delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo oltre che quella delle missionarie laiche per l’assistenza dei migranti. Realtà oggi ancora molto attive e presenti in ogni parte del mondo e che, insieme alla Fondazione Migrantes, operano in Italia fianco a fianco nelle diocesi e, lì dove presenti, anche in Europa, in particolare nelle Missioni Cattoliche Italiane. Scalabrini fu profeta, antesignano e pioniere nel considerare il fatto migratorio in tutti i suoi aspetti. Non voleva far mancare ai migranti, in quel tempo diretti soprattutto nelle Americhe, quella vicinanza spirituale e culturale indispensabile per la tutela dei loro diritti e per la loro promozione sociale nei paesi di arrivo.
“Insieme all’allora vescovo di Cremona e suo amico Geremia Bonomelli, – come ha detto recentemente l’arcivescovo, presidente della Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego – saranno i primi a considerare l’importanza del camminare della Chiesa con i migranti, Scalabrini fondando una congregazione di religiosi nelle Americhe e Bonomelli dando vita ad un gruppo di sacerdoti diocesani in Europa. I due vescovi erano convinti che l’emigrazione fosse una legge di natura e come tale non poteva essere fermata. Un fenomeno ampiamente dimostrato ancora oggi. Questo incontrarsi di persone e popoli diversi portava a quella unità della famiglia umana, più volte citata nel magistero della Chiesa e ultimamente da Papa Francesco nella “Fratelli Tutti”. “Abbandonare ieri come oggi i migranti – ne era convinto Scalabrini – vuol dire abbandonarli anche nella fede e nella pratica religiosa”. Scalabrini aveva intuito che chi partiva non poteva e non voleva dimenticare la terra d’origine, anzi, voleva mantenere un collegamento. E la fede è il mezzo vitale per questo, rafforzata con la celebrazione nella propria lingua. Scalabrini aveva riflettuto sulla dimensione religiosa dei migranti” Ci mandi un prete, gli scrivevano, che qui si vive e si muore come bestie”. Il missionario quindi secondo Scalabrini “non è soltanto l’uomo di Chiesa, l’uomo di Dio; egli è l’uomo sociale per eccellenza”. Ed è quanto continuano a fare e vivere ancora oggi i suoi “missionari e missionarie”, i sacerdoti e i laici che per conto della Chiesa italiana seguono oggi i nostri connazionali all’estero. “Dov’è il popolo ivi è la Chiesa – diceva Scalabrini – perché la Chiesa è la madre, l’amica, la protettrice del popolo, e per il popolo la Chiesa avrà sempre una parola, un sorriso, una benedizione”. Da allora ad oggi molto è cambiato, ma quel richiamo alla carità pastorale, sociale e politica è ancora vivo come dimostra l’accoglienza verso i migranti e l’impegno nella difesa della loro dignità. Un impegno che la Chiesa italiana porta avanti, attraverso Migrantes e tutte le realtà che operano in questo difficile settore, camminando insieme ai migranti e coniugando evangelizzazione e promozione umana.
Mons. Pierpaolo Felicolo
Direttore generale della Fondazione Migrantes