FONDAZIONE MIGRANTES
ORGANISMO PASTORALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Intervento del Presidente PCPMI

Sul tema "Migrazioni e nuova evangelizzazione", sono lieto e onorato di presentare oggi il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione annuale della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, a livello ecclesiale, che avrà luogo il 15 gennaio 2012. Come ormai avviene da qualche anno, anche il Messaggio pontificio che oggi presentiamo è tripartito, dando attenzione successivamente ai lavoratori migranti, ai rifugiati e agli studenti internazionali. I nostri tre interventi illustreranno il pensiero del Santo Padre nel coniugare la nuova evangelizzazione con questi particolari ambiti delle migrazioni.
29 Novembre 2011
Sul tema “Migrazioni e nuova evangelizzazione”, sono lieto e onorato di presentare oggi il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la celebrazione annuale della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, a livello ecclesiale, che avrà luogo il 15 gennaio 2012. Come ormai avviene da qualche anno, anche il Messaggio pontificio che oggi presentiamo è tripartito, dando attenzione successivamente ai lavoratori migranti, ai rifugiati e agli studenti internazionali. I nostri tre interventi illustreranno il pensiero del Santo Padre nel coniugare la nuova evangelizzazione con questi particolari ambiti delle migrazioni. 
Evangelizzare è il cuore della missione di Gesù Cristo, secondo le parole che l’evangelista Luca gli attribuisce quando afferma: “Bisogna che io annunzi il regno di Dio … per questo sono stato mandato” (Lc 4,43).
Anche san Paolo scrive nella sua prima lettera ai Corinzi che “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto; perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16).
E il Messaggio pontificio che oggi presentiamo, richiamando l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, ribadisce che evangelizzare, cioè annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo e il suo Vangelo, “costituisce la missione essenziale della Chiesa” (n. 14).
Oggi ci troviamo davanti ad una realtà sociale e religiosa caratterizzata dalla facilità degli spostamenti, tanto che la mobilità dei singoli e dei popoli, soprattutto a causa di migrazioni interne o internazionali, “come sbocco per la ricerca di migliori condizioni di vita o per fuggire dalla minaccia di persecuzioni, guerre, violenza, fame e catastrofi naturali”, ha prodotto “un mutevole intreccio di popoli e culture”, con proprie identità e fisionomie (cf. Messaggio 2012, § 3). Come conseguenza di ciò, il mondo intero è diventato terra di annuncio evangelico. In effetti, persone che non conoscono Gesù Cristo si trovano in Paesi di antica tradizione cristiana, mentre molti cristiani emigrano verso regioni che, in passato, si era soliti chiamare “di missione”.
Per avere un quadro concreto sulla mescolanza dei popoli come conseguenza del fenomeno migratorio, basta dare uno sguardo, per esempio, al “Rapporto Mondiale del 2010 sulle Migrazioni” dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (IOM), che individua i Paesi che hanno “accolto” il maggior numero di migranti negli ultimi anni. Essi sono gli Stati Uniti d’America, la Federazione Russa, la Germania, l’Arabia Saudita, il Canada, la Francia, il Regno Unito e la Spagna. Sulla copia cartacea di questo mio intervento ho aggiunto i dettagli di tale analisi (nota a fondo pagina).
È evidente che il miscuglio di nazionalità e di religioni va crescendo in misura esponenziale. Nei Paesi di antica cristianità osserviamo la penetrazione della secolarizzazione e la crescente insensibilità nei confronti della fede cristiana, mentre in alcuni Paesi a maggioranza non cristiana c’è un influsso emergente del Cristianesimo. Ovunque pullulano i nuovi movimenti settari, con il tentativo di “eliminare ogni visibilità sociale e simbolica della fede cristiana” (cf. Messaggio 2012, § 3), come se Dio e la Chiesa non esistessero.
Questo è il contesto in cui la Chiesa oggi è chiamata a svolgere la sua missione evangelizzatrice. Di fronte a tale sfida, essa si sente sollecitata a rivedere i suoi metodi, le sue espressioni e il suo linguaggio, rinnovando il suo slancio missionario. Una “nuova” evangelizzazione, quindi, ma che non scalfisce i contenuti e i valori del mandato missionario, trasmessi dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero.
Il Beato Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica sulla missione Redemptoris Missio, espone le differenti attività che si possono svolgere all’interno dell’unica missione della Chiesa, sorte “non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si svolge” (n. 33).
Sotto questo profilo, si distingue il primo annuncio o prima evangelizzazione, che si rivolge ai “popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo vangelo non sono conosciuti” (Ibid.). Il Santo Padre Benedetto XVI vi accosta il fenomeno delle migrazioni, dicendo che “uomini e donne provenienti da varie regioni del mondo, che non hanno incontrato Gesù Cristo o lo conoscono soltanto in maniera parziale, chiedono di essere accolti in Paesi di antica tradizione cristiana. Nei loro confronti è necessario trovare adeguate modalità perché possano incontrare Gesù Cristo e sperimentare il dono inestimabile della salvezza, che per tutti è sorgente di «vita in abbondanza» (Gv 10,10)” (Messaggio 2012, § 5). Vi è, poi, la dimensione permanente dell’evangelizzazione, che tocca direttamente le tradizionali comunità cristiane, impegnandole a testimoniare il disegno salvifico di Dio nella vita quotidiana. Infine, soprattutto nei Paesi di antica cristianità, ma a volte anche nei territori in cui l’annuncio evangelico è giunto più recentemente, si verifica una “situazione intermedia… in cui interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo vangelo” (Redemptoris Missio, 33): ecco gli ambiti in cui c’è bisogno di una “nuova evangelizzazione” o “rievangelizzazione”.
In tutti e quattro i casi, ad ogni modo, è vitale e in continua crescita il fenomeno migratorio. Il Santo Padre sottolinea che donne e uomini migranti non sono soltanto destinatari, ma anche protagonisti dell’annuncio o del ri-annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo. Essi sono come il “lievito” evangelico che, trovandosi inserito nel mondo, ha la possibilità e la forza di far fermentare tutta la “pasta” della cultura e della società. La nuova evangelizzazione nel mondo delle migrazioni, infatti, deve far leva soprattutto sul necessario coinvolgimento del laicato, da una parte, e sull’importanza del dialogo a tutti i livelli, dall’altra.
Di fatto – spiega il Papa nel suo Messaggio – vi sono persone che, cresciute “in seno a popoli marcati dalla fede cristiana, spesso emigrano verso Paesi in cui i cristiani sono una minoranza, o dove l’antica tradizione di fede non è più convinzione personale, né confessione comunitaria, ma è ridotta ad un fatto culturale”. Nel primo caso si potrebbe trattare di “un’occasione per proclamare che in Gesù Cristo l’umanità è resa partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore, … anche attraverso il dialogo rispettoso e la testimonianza concreta della solidarietà”. Nel secondo, invece, “c’è la possibilità di risvegliare la coscienza cristiana assopita, attraverso un rinnovato annuncio della Buona Novella e una vita cristiana più coerente”. In ambedue le situazioni occorre che la pastorale adeguata assista i migranti affinché mantengano salda la loro fede, nella coerenza della vita cristiana e nella testimonianza del Vangelo, incoraggiandoli a diventare essi stessi autentici annunciatori del kerygma evangelico (cf. Messaggio 2012, § 4). 
In tutto ciò, il Messaggio del Papa suggerisce che non si trascurino alcuni orientamenti peculiari della pastorale migratoria. I migranti, anzitutto, godono come tutti dell’intangibile dignità della persona umana, che va rispettata tutelandone i diritti, che vanno di pari passo con i doveri, che a tutti spettano in modo da “guardare all’umanità come ad una famiglia chiamata ad essere unita nella diversità” (Messaggio 2011). Altri punti cardine, poi, sono l’accoglienza e la solidarietà basate “sull’amore a Cristo, certi che il bene fatto al prossimo, particolarmente al più bisognoso, per amore di Dio, è fatto a Lui stesso” (Erga migrantes caritas Christi, n. 41). I lavoratori migranti, soprattutto, hanno bisogno che la comunità internazionale da un lato protegga i loro diritti umani e lavorativi, e dall’altro tuteli i membri delle loro famiglie (cfr. Messaggio 2012, § 9).
Faccio inoltre presente l’importanza che il nostro Dicastero ha sempre attribuito alla cooperazione tra le Chiese di origine, di transito e di destinazione affinché il migrante, in qualunque tappa del suo viaggio verso un futuro sconosciuto, sperimenti l’amore di Dio e incontri il volto misericordioso di Cristo. In tal modo, potrà sentirsi sostenuto nello sforzo di interagire con culture e popoli diversi e nella ricerca di un’integrazione che non gli faccia perdere la sua identità umana e cristiana. Anche questi aspetti sono presenti nel Messaggio.
Come sottolinea il Santo Padre, comunque, resta vero che quando si individuano adeguate modalità perché i migranti “incontrino e conoscano Gesù Cristo e sperimentino il dono inestimabile della salvezza… gli stessi migranti hanno un ruolo prezioso, poiché possono a loro volta diventare «annunciatori della Parola di Dio e testimoni di Gesù Cristo, speranza del mondo»” (Messaggio 2012, § 5).
Qui assumono un ruolo importante “gli Operatori pastorali – sacerdoti, religiosi e laici – che si trovano a lavorare sempre più in un contesto pluralista” (Messaggio 2012, § 6). Il nostro Pontificio Consiglio si unisce alla voce del Santo Padre nel manifestare sentimenti di stima, apprezzamento e sincera gratitudine verso tutti coloro che impegnano tempo, energie e risorse nella pastorale delle migrazioni, spesso nel silenzio e, talvolta, anche a rischio della propria vita. Sono molti, infatti, i laici, i religiosi e i sacerdoti che, con passione e generosità, a fianco di milioni di persone in mobilità, annunciano che il disegno di salvezza evangelico è già in atto nel mondo e, con abnegazione, assistono migranti, rifugiati, nomadi, gente del mare, viaggiatori e pellegrini nelle loro necessità quotidiane. Grazie a loro la Chiesa guarda, ascolta, rispetta e condivide con ogni migrante tutti i passaggi fondamentali della vita: nascere, amare, gioire, soffrire, morire. A loro il Papa rinnova altresì l’invito ad “aggiornare le tradizionali strutture di attenzione ai migranti e ai rifugiati, affiancandole a modelli che rispondano meglio alle mutate situazioni in cui si trovano a interagire culture e popoli diversi” (Messaggio 2012, § 6). Si tratta sempre, comunque, di porre Gesù Cristo al centro dell’esistenza, evitando con ogni sforzo di soffocare l’annuncio evangelico con eccessive complicazioni strutturali e organizzative.
Un campo aperto, insomma, nell’ottimismo cristiano che traccia nuove strade alla “corsa della Parola” (2Ts 3,1), non nel senso di un vago spiritualismo, ma nella certezza che il tempo che stiamo vivendo è arricchito dalla preziosa opportunità dei movimenti migratori. Questi, ovviamente, devono essere legittimamente regolati, liberandoli dalle piaghe della povertà, dello sfruttamento, del traffico di organi e di persone. Nella legalità, con attenzione a tutelare la dignità di ogni persona umana e a promuoverne l’autentico progresso, anche le migrazioni contemporanee possono diventare una benedizione per il dialogo tra i popoli, la convivenza nella giustizia e nella pace, l’annuncio evangelico della salvezza in Gesù Cristo.
 
 
Nota
 
, di cui poco meno di un terzo erano messicani (11.478.234), il gruppo più numeroso nel Paese. Seguivano tre nazioni asiatiche: Filippine (1.733.864), India (1.665.055) e Cina (esclusi Hong Kong e Taiwan) (1.425.814). El Salvador è provenienza di altre 1.157.217 persone e il Vietnam di 1.149.355. La Corea, invece, è Paese di origine di 1.012.911 immigrati, mentre Cuba lo è per 982.862 persone (fonte: Statistical Portrait of the Foreign-Born Population in the United States, 2009; Table 5. Country of Birth: 2009, Pew Hispanic Center). Dunque, gli U.S.A., che sono a maggioranza cristiana, per lo più protestante, accolgono ora non solo i cattolici, ma anche gli indù, i buddisti, i musulmani, i taoisti e i confuciani.
Nel 2009 c’erano 38,5 milioni di immigrati negli U.S.A.
 
 
 
http://focus-migration.hwwi.de/Country-Profiles.1349.0.html ?&L=1). La Russia è un Paese di tradizione cristiano-ortodossa, ed è ora casa anche di immigrati musulmani dai Paesi dell’ex-U.R.S.S.Nella Federazione Russa, di cui è più difficile ottenere statistiche dettagliate, gli immigrati sono arrivati soprattutto da Kazakistan (circa 1,9 milioni di persone tra il 1989 al 2007) e, con flusso simile, da Kirgizia, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan (fonte: “Russian Federation”, Country Profile, Focus Migration, No. 20, July 2010, in 
 
, il numero più elevato di immigrati si trova in Germania, Francia, Regno Unito e Spagna (per tutti i Paesi Europei, le statistiche citate sono quelle riportate da International Migration Outlook, OECD-SOPEMI 2010, Table B.1.5. Stock of foreign population by nationality). Nel 2008, in Germania vi era una popolazione immigrata di 6.727.600 persone di diverse nazionalità. Fra questi, gli immigrati turchi erano i più numerosi (1.688.400), seguiti da italiani (523.200), polacchi (393.800) e greci (287.200). Nella Germania evangelica abitano ora i cattolici polacchi e italiani, gli ortodossi greci e i musulmani turchi. In Francia, nel 2006, gli immigrati erano 3.541.800, soprattutto portoghesi (490.600), algerini (481.000) e marocchini (460.400), seguiti da turchi (223.600), italiani (177.400) e tunisini (145.900). In questo stato laico, in cui la maggioranza appartiene comunque alla Chiesa cattolica, ci sono ora molti musulmani. Nel Regno Unito, nel 2008, su 4.196.000 immigrati, i gruppi più numerosi erano costituiti da polacchi (500.000), irlandesi (359.000) e indiani (295.000), con una notevole presenza anche di pakistani (178.000) e francesi (124.000). Qui sono giunti i cattolici polacchi, irlandesi e francesi, gli indiani a maggioranza indù, ma anche musulmani, cattolici e sikh, e i pakistani a maggioranza musulmana. Nella Spagna tradizionalmente cattolica, invece, sono arrivati 5.598.700 immigrati, di cui soprattutto rumeni (796.600), per la maggior parte ortodossi, marocchini musulmani (710.000), ecuadoriani cattolici (413.700) e cittadini del Regno Unito a maggioranza anglicana (374.600).

Nell’Unione Europea
 

 
, gli immigrati che vi si trovavano nel 2005 provenivano soprattutto dai seguenti Paesi: India, Egitto, Pakistan, Filippine, Bangladesh, Yemen, Indonesia, Sudan, Giordania e Sri Lanka (Source: World Bank, 2008, Migration and Remittances Factbook). Anche se, in maggioranza, si tratta di Paesi a prevalenza musulmana, s’annoverano fra essi anche l’India, che è a maggioranza indù, le Filippine, i cui cittadini sono generalmente cattolici, e lo Sri Lanka, di cui la popolazione è per il 70% buddista e per il 15% indù. Il Sudan stesso, che è a maggioranza musulmana, è abitato anche da cristiani che costituiscono un gruppo numericamente rilevante.

In Arabia Saudita
 

 
, dove si contavano 6.187.000 immigrati nel 2006, il gruppo immigrato più numeroso proveniva dal Regno Unito (579.600 persone). Legami storici possono giocare un ruolo importante in questo tipo di flusso. Subito dopo venivano i cinesi (466.900) e gli indiani (443.700). C’erano anche i filippini (303.200), gli italiani (296.900) e gli statunitensi (250.500) (Fonte: Statistics Canada, 2006 Census of Population). Anche nel Canada cristiano, oltre ai cristiani del Regno Unito e degli Stati Uniti, e a quelli specificamente cattolici delle Filippine e dell’Italia, sono immigrati gli indù, dall’India, e buddisti, musulmani, taoisti e confuciani soprattutto dalla Cina.

In Canada